La storia speciale del Dottor Piero
Questa sua missione ha però qualcosa di speciale… è l’ultima.
Ecco il suo racconto, quello di 40 anni di volontariato al servizio dei bambini malati, gli ultimi 11 in affiancamento alla Fondazione.
Gennaio-febbraio 1982.
Dopo sei mesi alla Johns Hopkins University di Baltimora, immerso nella frenetica società degli States, immancabilmente dollaro-dipendennte, mi si offrì la possibilità di 2 mesi di ferie da smaltire al più presto.
Lavoravo già al Gaslini da circa 5 anni e la chirurgia era diventata definitivamente la mia passione.
Su invito di una caro amico infettivologo che da quasi 2 anni stava lavorando con la Cooperazione Internazionale presso l’ospedale St. Jean de Dieu a Tanguiéta nel nord del Bénin, salgo su un aereo e lo raggiungo.
Sembra di fare un salto nel passato di molti decenni.
L’ospedale ha appena compiuto 10 anni, molto bello e funzionale, ma costretto a lavorare in condizioni estreme: niente corrente elettrica, niente telefono, solo acqua del pozzo, strade di accesso che sono piste al limite della praticabilità
soprattutto quando piove, medicine e attrezzature ridotte all’essenziale.
Un grosso motore diesel ruggisce per creare la corrente elettrica solo quando si deve andare in sala operatoria. Altrimenti lampade (e anche frigoriferi) a petrolio.
Ci sono i frati dei Fatebenefratelli a gestirlo, tre italiani di cui uno medico e soprattutto chirurgo eccezionale (fra’ Fiorenzo, un camuno roccioso e instancabile) e un canadese.
Poi uno stuolo di infermiere e infermieri africani che fanno il massimo per consentire all’ospedale di funzionare.
Il laboratorista, l’amico Moïse, illumina i vetrini dell’emocromo orientando lo specchietto del suo vecchio microscopio verso la luce del sole.
Le radiografie le facciamo noi con un vecchio apparecchio portatile e sviluppiamo le lastre in camera oscura nei bagni di reagenti.
Non esiste ancora la pediatria e la maternità è solo una stanza con sei letti e l’immancabile lampada a petrolio che durante il parto te le devi far bastare.
Due mesi di vera medicina, dalle malattie polmonari a quelle infettive, dalla malnutrizione alla traumatologia e poi 3 mattine di sala operatoria, quasi tutto in anestesia locale o in spinale, e quando il gruppo elettrogeno si inceppa si continua ad operare con delle torce a batterie puntate alla meglio nel campo operatorio.
Due epidemie disastrose ci mettono quasi in ginocchio: meningite e morbillo.
Vedere morire per complicazioni respiartorie decine di bimbi per un “banale” morbillo è un’esperienza che mi ha
segnato per tutta la vita (e che credo farebbe molto bene agli amici no-vax!).
Il mio amico rientra in Italia per fine servizio; rimaniamo Fra’ Fiorenzo ed io a gestire 280 letti.
Poi le mie ferie finiscono e Fiorenzo rimane il solo medico a gestire l’immenso lavoro.
Fino all’anno successivo, quando torno ad aiutarlo.
Quando mi vede si illumina, ma immediatamente mi consegna le “chiavi” dell’ospedale e scappa due giorni a caccia di gazzelle e facoceri per dare da mangiare ai malati dell’ospedale.
Ma il mondo va avanti, tutto si modifica, e non sempre in peggio: oggi ci sono quasi 400 letti, una maternità ben organizzata, una pediatria con 120 letti (spesso insufficienti), tre sale operatorie che funzionano in contemporanea e uno stuolo di medici e chirurghi africani che gestiscono i diversi servizi sotto lo sguardo vigile dell’intramontabile Fra’ Fiorenzo.
C’è luce elttrica tutto il giorno, telefonia ed internet, acqua a volontà e strada asfaltata che arriva dalla capitale lontana quasi 700 km.
Febbraio 2005.
Dal 2005 ad oggi mi sono impegnato con missioni annuali di circa un mese a formare i giovani chirurghi africani per la specializzazione di chirurgia pediatrica. Uno in particolare, Léopold, al quale mi sono affiancato negli ultimi anni, è oggi un ottimo specialista in grado di operare autonomamente bambini con malformazioni congenite viscerali, urogenitali e maxillo-facciali.
Ottobre 2022.
E’ una gioia vedere che seminando si raccoglie.
Il mio bisturi che era rovente ora è pronto ad essere riposto in bacheca; ma nelle ultime sei stanze della Pediatria, dove ci sono i casi chirurgici, i bambini continuano ad essere operati e seguiti con molta professionalità e sull’arco di tutto l’anno.
Ora Flying Angels, che mi ha sostenuto in questi ultimi anni, sappia che non busserò più alla sua porta, ma sappia che anche grazie al suo prezioso contributo oggi nel cuore del Sahel i bambini malformati trovano una soluzione ai loro problemi grazie a mani esperte di loro connazionali.
Non abbiamo portato dei…..pesci, abbiamo insegnato a pescare!